La rivoluzione è la contentezza (Fantasia da Babel)

I parte:
La rivoluzione

I
Il vento di mezzogiorno scherzava tra la segale
sull’orizzonte azzurro come il vento
saliva dolcemente il vergine granturco
come le mura di un lontano monastero
con le stanche braccia la cheta Volivia
s’avvolgeva tra le malerbe del luppolo…..

quando un sole arancione rotolò giù
con la testa tagliata
e gli stendardi del tramonto
sventolarono sulle nostre teste
sui serpenti lunari,
sui fossati luccicanti

e tutto fu ucciso dal silenzio

Solo la luna
stringendo tra le mani azzurre
il cerchio del suo viso dolcemente
vagabondò sotto le finestre
baciando il bianco volto della terra.

sotto la nera passione del cielo
rose assetate dondolarono al buio
lampi verdi s’accesero alle cupole

Da quel giorno ribelle
al calendario di sempre
al crocevia dei venti infuriati della storia
s’accese una timida stella di sangue
nelle battaglie arancioni del tramonto

e sbadigliò per le strade
il deserto della guerra.

II
E il granito dei selciati fu pulito
come la calvizie di un morto
il silenzio salì sul trono
delle città dei mondi.

Noi marciavamo verso un crepuscolo eroico
in cui il silenzio si tingeva di rosa
la libertà giaceva in cerchi nei campi
sulla terra inondata correvano tenebre e vento
e i covoni di grano volavano in cielo,
la terra si allungava
come una schiena di gatto
cresciuta del lustro
pelame dei grani

l’incendio sventolò sugli orizzonti
sfavillò rosso come una domenica

ottobre assediava i nostri cuori.

Quando passammo al grande crocevia
dei venti infuriati della storia
sotto la timida stella del sangue
i secoli ritti cadaveri nudi
oscillarono come alberi invernali

Una rossa mattina gocciolò sul mondo
come il cloroformio gocciola
sul tavolo operatorio

e i proiettili si tesero
come fili sulla via.

III
Perché non può fare a meno di sparare
perché essa è la rivoluzione
perché la luce non penetra
in chi sta ad occhi chiusi
noi apriremo gli occhi
anche a chi non vuol vedere

Essa non può fare a meno di sparare
perché essa è la rivoluzione
– e i proiettili si tendono
come fili sulla via.

Perché la rivoluzione è la contentezza
e alla contentezza non piace
avere degli orfani in casa,
perché la rivoluzione è un’opera buona
di uomini buoni
per questo spara la rivoluzione
per questo i proiettili sulle pianure del vento
sui fili tesi della mira
telegrafava al futuro.

IV
Col mantello nero del vento
si chiudono ora sulle città
le cortine delle battaglie,
nella immensa camera del mondo
con gli occhi come tizzoni
rotola il sole in una polvere scarlatta

La segale era alta il sole bellissimo e le anime
degli uomini, immeritevoli di cosi splendidi e fuggevoli soli
avevano sete di lente torture
e nella carne fame si fondeva
come una solitudine senza nome
l’erba frusciava sulle orecchie del mondo
dolcemente come una gonna fanciulla
nel vento si svolgevano i cieli
come una fisarmonica azzurra a molti ventagli.

Calava verso il sonno della sera
la giornata d’ottobre sull’universo in ascolto
i calici del tramonto traboccavano sui villaggi

e le armate di Lenin
marciavano verso il cuore del mondo.

V
Le armate di Lenin, i cavalli di fiamma della storia
i dorsi dei cavalli solcavano il cielo
come patiboli neri
Il cavallo di Lenin della storia
era uno stallone bolscevico
fiammante come una moneta,
coda a palla di fucile,
gamba a corda di violino

Le guardie rosse avevano pensato
di conservarlo per Stalin
il cavallo di Lenin della storia
ma aveva gli occhi appesi al muro come fili
e precedevano i proiettili nel solco
della mira nel sangue – nella steppa
gli occhi dello stallone bolscevico
accendevano i fanali del buio

VI
Gli squadroni al galoppo della storia
brusivano nella boscaglia come il vento
e
udimmo l’alto silenzio della carica
e il bagliore del tramonto su di lei
scarlatto e inverosimile
come la morte che sopraggiunge

– A Berlino – gridò Voroscilov
e impennato il cavallo s’involò
nel cuore degli squadroni
secondo il dovere del suo giuramento rivoluzionario.

Il vento saltò tra i rami
come una lepre impazzita

e la spranga ferrata dell’avvenire
si abbatté sui secoli.

VII
Dopo, la sera rossa volò in cielo
come uno stormo di uccelli
e il buio cinse il mondo
con la sua molle corona

Gli uomini che non avevano imparato
erano curvi e affranti
sotto quella corona mortuaria
gli uomini che non avevano imparato
andavano oltre supplicando il destino
di insegnare loro la più semplice delle arti,
l’arte di uccidere l’uomo
l’arte della vita

E l’infaticabile vento della vittoria e della sconfitta
il puro vento notturno
s’impregnò di squilli, cullò le anime

La notte s’inarcò sui moribondi
lo spavento testava il cuore
con le sue dita bianche di cadavere.

VIII
Dopo la prima battaglia dei mondi
le armate di Lenin della storia
consegnarono all’eternità
i primi morti vivi sulla terra.

Noi, sotterrammo Pascia Trunov, eroe mondiale
rendemmo a Pascia gli estremi onori
come a Ettore sotto le mura di Troia
alzando al cielo gli occhi roventi d’insonnia
Pugaciov cantò il suo discorso sui morti
della 1° armata a cavallo, fiera falange
che batte col martello della storia
sull’ incudine dei secoli futuri.

Dopo il discorso stanco senza stanchezza
la banda che suonò l’ultima carica
disse al compagno morto l’Internazionale:

<< Compagno morto, l’Internazionale
è la famiglia mondiale delle brave persone
Essa non può fare a meno di sparare
perché essa è la rivoluzione
e la rivoluzione che è la contentezza
vuole che tutti vedano il sole
vuole aprire gli occhi
anche a chi non vuole vedere
Compagno morto, il viatico – e tu suona
compagno trombettiere con la tua anima da nascere
più forte l’Internazionale.
Con che companatico si mangia
compagno caduto, il viatico dell’Internazionale? >>.

<< Si mangia con la polvere, si mangia
e s’innaffia col sangue migliore
Ho mangiato, ora la mia morte
è sazia della vita.
Suonate ora le canzoni della vittoria
– disse l’eroe dei mondi futuri
sollevando sui vivi
gli occhi ricolmi
degli azzurri ghiaccioli dei sogni >>.

Il tempio della natura, il campo di battaglia dell’armata
dove si rendevano gli estremi onori
ai morti rossi
era pieno di raggi danzanti
di colonne d’aria
di una specie di fresca gaiezza

La sera che si spegneva dopo la fiamma del giorno
aveva avvolto nel vento
il rosso fumo della sua malinconia

La canzone gorgogliò
come un rigagnolo tra le erbe

e Pascia Trunov, eroe mondiale
parlò della morte ai suoi vivi compagni:
<< Vi ricordate, compagni, della notte in cui il sabato,
l’ultimo sabato del mondo
s’insinuò lungo il tramonto
schiacciando le stelle sotto il suo tacco scarlatto
per non far nascere il giorno unico
del comunismo, la grande domenica
dei popoli?
Il deserto della guerra
sbadigliava fuori dalle finestre.
Noi allora prendemmo in mano
la penna della storia
e scrivemmo le prime pagine comuniste
bagnandola col nostro giovane sangue
senza paura di morire
perché avevamo imparato a credere nella vita
senza curarci delle madri
perché le madri nelle rivoluzioni sono solo un episodio
e la gonna materna
è un vento leggero che ci avvolge
per confortare le nostre tristezze
Allora, nelle pagine comuniste
come una triste pioggia ci cadevano addosso
le parole del Cantico dei Cantici e cartucce di rivoltella
E noi abbiamo vinto ma ora
dobbiamo vincere il tradimento
il tradimento che è una luna
che spunta sullo stagno
verde come una lucertola
Il tradimento ammicca dalla finestra
e si fa beffe del rozzo proletariato
Ma il proletariato compagni,
lo sa da sé d’essere rozzo – e ci rincresce –
ma la sua anima brucia e rompe col fuoco
la prigione del corpo e la galera delle costole
Il tradimento io vi dico compagni,
ci deride dalla finestra
il tradimento cammina a piedi scalzi in casa nostra
il tradimento s’è gettato le scarpe dietro le spalle
perché l’impiantito non scricchioli
nella casa degli uomini, nella casa rossa da svaligiare.
Ma voi ricordatevi, compagni,
che il Partito Comunista del mondo
è una spranga fezzata di combattenti
che danno il sangue in prima fila
e quando dal ferro cola il sangue
allora ricordatevi compagni, bando agli scherzi
vincere o morire.

Pascia Trunov, eroe mondiale
così ci parlò della morte
Pascia che era morto
e non aveva più giudici al mondo.

E noi che a malapena riuscivamo ad alloggiare
in un corpo primitivo le bufere della fantasia
noi ricevemmo l’ultimo respiro del confratello

Il soldato rosso più giovane s’avvicinò alla bara:
– Pascia – disse – mio Gesù Cristo.

L’Internazionale gocciolava fino alle ultime file

il pensiero volava come un uccello

Ed ecco che salì in cattedra
giù dalla tenebra azzurra
la domenica giovinetta
e Pascia Trunov fondava in cielo
l’Internazionale impossibile.

Autore: Gianni Toti

Data: marzo 1946

Numero serie: 1946_0070

Temi: Rivoluzione; fratellanza; morte; speranza

Emozioni trasferite nella scrittura: Fratellanza; speranza