Chi può dire la storia
della morte, se tace?
Essi muoiono i morti, non ritornano,
solo quei nomi vuoti, queste tombe
bianche, questi tangibili fantasmi
di pietra, segni assurdi
nel limpido universo delle cose
e nel silenzio di dio
la buia valle del tempo
Dell’irrequieto sogno della vita
tanto ci resta e tu
dolore, mio dolce fratello
a farci vivi malvivi e poi ben morti
e tu, infelicità, vestita d’ombra,
gioia perdura perché solo il sangue
e la morte suggellano la storia
e la grandezza delle cose umane
Tanto ci resta e la città dei morti,
cintura d’ombre alla città dei vivi,
corolla ampia di tenebre e ci attende
grembo della più grande madre e dice:
<< I vivi germogliano fiori
com’erbe dei morti, più vivo
mi rendono i morti, io mi nutro
di ciò che ho nutrito, mai e sempre,
il dolore e la gioia, umane cose
effimere ed eterne. Uomo che passi
eternamente, credi nella vita.
La vita nutro e mi nutro di morte
Muore domani il fiore che oggi ride,
fosse un profumo, un petalo, domani
sorriderà altra luce su altro stelo,
cadono il fiori ma il fiore s’eterna.
Oggi un sorriso la morte domani
d’un sorriso o una pena che si spegne,
uomo, mai e sempre, ieri oggi, domani,
tocco e non varco i confini del nulla >>.
Ma nella strada piena di uomini,
uomo fratello, ecco, uomo compagno,
polvere e passi dell’umanità,
ricca di sofferenza e di parole
questa vivente umana moltitudine,
vostra popolare solitudine
le attonite mandrie degli uomini
smarrite per vertigine di stelle
sempre lontane più lontane e splendono.
No, non possiamo sognare
che non siamo coloro che piangono
perché lo stesso spirito si perde,
grande spirito, amore il più profondo
degli uomini, questi uomini aggrappati
alla fragile canna dell’errore,
i prigionieri figli delle ore
liberi all’universo del destino
la mal divin sorte della vita,
il dubbi evento delle cose umane
e poi la morte in tutto, la morte
nostra muta compagna della vita
tempo ed eternità legati insieme
da un solo istante, chiave
di luce o delle tenebre.
O dopo misterioso e senza nome
io sono ora il mio cielo ed il mio inferno
e m’è compagna un’eco desolata,
eco del canto e eterna i miei lamenti,
amor di solitudine, poesia.
Da sempre, uomo, questa la tua storia
effimera ed eterna che fluisce
tra il nulla che eri e il nulla che sarai
quando avrà paura il tuo ritmo più breve.
Fu nulla ed ora è nulla, storia semplice,
uomo fratello, questo il tuo destino,
e nel giorno defunto la tua notte.
Mutati in fuoco, umana sofferenza,
sorella sofferenza, umano cuore
Ma nella strada piena di uomini
uomo fratello, ecco, uomo compagno,
polvere e passi dell’umanità,
ricca di sofferenze e di parole
questa vivente umana moltitudine
e nostra popolosa solitudine,
le attonite mandrie degli uomini
smarrite per vertigine di stelle
sempre lontane più lontane e splendono.
No, non possiamo sognare
che non siamo coloro che piangono
perché lo stesso spirito si perde,
grande spirito, amore il più profondo
degli uomini, questi uomini aggrappati
alla fragile canna dell’errore,
i prigionieri figli delle ore
liberi all’universo del destino
la mal divin sorte della vita,
il dubbio evento delle cose umane
e poi la morte su tutto, la morte
di stanchezza mortale – Io non credo
nella vita che muore. Io voglio credere
nella morte, l’istante che non passa,
divino istante, eternità profonda. >>
Autore: Gianni Toti
Data: aprile – maggio 1944
Numero serie: 1944_0026
Temi: Morte
Emozioni trasferite nella scrittura: Lutto; disillusione; dolore