II parte
La contentezza
I
E il mondo non fu più una chiusa stanza
sfondato il tetto del cielo del buio
con le chiavi dell’universo nelle mani
andammo ad aprire le porte dei mondi
per liberare la schiava dei secoli
perché danzi ora sui prati dell’anima
sorella umana la felicità.
II
Nell’ultima sera del passato
camminavamo in due verso il crepuscolo
con sole due gambe e due mani
e una chiave di sangue splendente
Io e lui con due occhi soltanto
con una bocca sola io e lui
seppellendo le vecchie parole
dentro la tomba del gaio silenzio
Poeta e operaio, io e lui, uno solo
e vedevamo finalmente il mondo
come un prato di maggio
come un prato su cui vanno e vengono
donne e cavalli
III
Ma le corde di seta dei nuovi sguardi
ci allacciavano ardendo sulla strada
la rosea vanità della sua sera
spogliò ridendo il cielo della luce
Leggere galleggiavano le stelle
fra le nere alghe del mare del cielo
la grande mano buia lacerò
negli angoli al soffitto degli spazi
le ragnatele d’iride del sole
il grande ragno d’oro rese al cielo
il suo respiro ultimo di rosa
e si attaccò ridendo all’orizzonte
la nuvola sonora del futuro.
Sulla fronte rovente dell’attesa
le sue palme dolcissime di madre
posa la notte carezzando il vento.
IV
E lei si mosse la felicità
si mosse e fendé in due tutta la storia
come fa una bandiera rossa in cielo
e l’avvenire entrò dentro il passato
Le belle gambe ardite camminanti
parevano fanciulle nate appena
negli occhi grandi come gli orizzonti
prese a danzare l’allegria del mondo
L’aria crebbe sonora di una musica
la mano bianca dell’immensità
mosse le dita al timpano di luna
e le stelle bruciarono nel buio
come anelli nuziali s’intrecciarono
nei suoi capelli caddero su di lei
si spensero alla testa scapigliata
La mendicante pallida d’amore
luna di nebbia piangeva nel cielo
per la felicità scesa alla terra
Dolce felicità che camminava
come la gioventù leggera e grave
V
Ella puntava in alto, in punta di piedi
un seno agitato come una lepre in un sacco
rideva dentro il mondo nella gola del vento
rideva nella bocca di un grande fiore rosso
rideva come un’ala libera negli spazi
Il pensiero volò come un uccello
a baciarle la bocca lei sorrise
si spalancò sui prati della vita
come fanciulla s’apre tra le braccia
della sua primavera e lui la bacia
Sui prati della vita corse il vento
a colpirla col suo fiato leggero
l’anima non osò levare sguardi
sul dolce mondo sereno di dio
VI
Io e lui, poeta e operaio
mormoravamo le parole nuove
che dicemmo nei secoli ignorando
l’attesa della nascita leggera
che le restituiva a dire ancora
alba mattina ancora azzurro sole
rubandole al silenzio del passato
VII
Nacque mattina che dipinge e suona
e il peccato fu colmo d’innocenza
Tanti sono i peccati – disse lei –
quante le erbe verdi sogna i prati
Sulle erbe cadevano stelle d’agosto
e si visse e morì una volta sola.
Autore: Gianni Toti
Data: marzo 1946
Numero serie: 1946_0070A
Temi: Speranza; serenità
Emozioni trasferite nella scrittura: Speranza; serenità